Saturday, October 2, 2010

Meraviglia Camaleontica


Dall’alto tutto sembra più bello.
E’ fin troppo semplice apprezzare qualcosa da una posizione che ci permette di parlare e non essere giudicati, che ci da la possibilità di vedere tutto ma non ascoltare nulla, che ci regala orizzonti incredibili e la solitudine che ognuno è solito cercare il Sabato pomeriggio.


Ho fatto la scelta opposta. Mi sono buttato in mezzo alla strada, in mezzo ad un prato pieno di insetti, dentro ad un bosco umido dove il temporale della sera prima non aveva ancora finito di raccontare le sue storie.
E allora ti capita di vedere quattro anziani seduti di fronte ad un bar parlare delle partite del pomeriggio e della gara del giorno dopo, bere le ultime gocce di caffé che più che caffé sembra zucchero sporco di caffé, alla faccia del diabete e delle disfunzioni cardiache che solitamente colpiscono le persone di una certa età. Uno mescola, alza il mazzo, l’altro distribuisce tre carte a testa agli altri quattro, un altro ancora bestemmia e l’ultimo si appoggia allo schienale della sedia senza dire nulla, apparentemente soddisfatto ma in realtà scontento per quelle tre fottute carte. La partita inizia, la prima partita di un pomeriggio ancora lungo.
Una signora scende dalla sua berlina nera, i vetri oscurati, i cerchioni alti, accompagna il suo bambino sul lato sinistro di una chiesa. La mamma saluta distratta e ritorna indietro senza curarsi di alcune parole che escono dalla bocca di suo figlio. Sta già pensando al parcheggio in cui si troverà fra dieci minuti con il suo amante, un imprenditore di una città vicina con una berlina nera, i vetri oscurati e i cerchioni alti. Il bambino lo sarebbe passato a prendere il padre due ore più tardi, direttamente da un altro parcheggio dove si stava consumando un altra storia per il loro album di famiglia.
Un ragazzo calvo, studente della facoltà di ingegneria, arriva veloce spingendo sui pedali con tutta la forza che gli è rimasta dalla sera prima. La sua mente è proiettata già alla sera che lo stava attendendo, alle ragazze che avrebbe abbordato, alle ragazze che gli avrebbero detto “no” e a quelle che avrebbero detto “si”. Non aveva un piano ma aveva voglia. Bastava.
Quattro compagni di classe sono appoggiati con tutto il peso del loro corpo, della loro cultura e della loro età, ad un cancello di una antica casa dell’alta borghesia cittadina. Parlano della giornata scolastica, non hanno voglia di tornare alle loro case, alle loro monotone vite da minorenni di buona famiglia, cercano svago nelle loro parole lievemente anarcopunk, leggermente nichiliste, sicuramente ispirate da qualche buon ascolto di musica ormai passata (sorpassata).
Una giovane badante proveniente da un paese dell’ex Unione Sovietica testa la sua nuova bicicletta comprata qualche giorno prima in un centro commerciale Coop. Non ha mai avuto una bicicletta nel suo paese ex comunista. E’ impacciata, rischia di cadere, cade, ride, si rialza e continua nella sua pedalata che la porterà chissà dove.
Un gruppo di ragazzine vestite di viola e nero urla per una viale alberato, gli ormoni già a mille pensando a quello che la sera regalerà loro. Il trucco da sciatte battone provinciali dona a loro qualche anno di più, vorrebbero sembrare più grandi per poter comprare un pacchetto di Marlboro light da condividere. Un pò come fanno con i ragazzi.
Quella sera qualcuna di loro scoperà per l’ennesima volta.
Qualcun’altra perderà la verginità duramente conquistata.
Un signore, avvocato di giorno, incallito giocatore di poker la notte, è fermo al semaforo, tira fuori il Sole 24 ore e legge l’editoriale di un noto “americanista”. Niente di nuovo. Niente di diverso. Al mondo tutto gira sempre nello stesso modo da sessantacinque anni. Il semaforo diventa verde, non se ne accorge, qualcuno da dietro suona il clacson e bestemmia. Lui impreca, getta il giornale sul sedile del passeggero e lancia la sua potente auto nel viale alberato di fronte.
Alcune famiglie nomadi cercano di sbarcare il lunario vendendo divertimento analogico a bambini maleducati. Chi si diverte a saltare in un castello di gomma colorato, chi si dedica al bigliardino, chi a colpire barattoli di latta con pistole ad aria compressa. Qualche genitore mugugna, qualcuno urla, altri colpiscono i figli con sonori ceffoni.
Una ragazza magrissima corre in un parco per perdere quei chili che non ha, ascolta musica dal suo lettore mp3 bianco, perlato, griffato Dolce&Gabbana. Le sue scarpe percuotono l’asfalto con violenza, cerca di aumentare il ritmo ma dopo pochi metri è troppo stanca. Si ferma e vomita quello che ha mangiato a pranzo.
Una scritta sul muro di un cavalcavia si prende gioco dei professionisti della corsa. “Corri stronzo!”. Qualche sera prima tre regazzi erano arrivati sotto quel cavalcavia armati di bombolette nere. Avevano un concerto poco dopo.
Una coppia di giovani genitori coccola il figlio nel passeggino. Il padre racconta storie improbabili su aeroplani, navi da guerra e paracadutisti. Il figlio non sa ancora parlare. La madre sorride, scherza col padre, i due si dimenticano di essere genitori e deludono gli occhi del figlio che rimane lì ad osservarli.
Un uomo, serio e composto, vestito di nero, cammina lentamente lungo il viale ghiaiato. Pensa al suo fallimento matrimoniale, ai soldi spesi malamente per la (ex)moglie, alle noiose vacanze che lo hanno reso ogni anno più povero, alla sere passate sul divano o in qualche locale di periferia ad ubriacarsi. Si ferma lungo il fiume. Vorrebbe buttarsi. Ci sono troppi passanti e decide di rimandare a data da destinarsi.
Un ponte, o meglio, quello che ne rimane, racconta la sua storia. Immagino ragazzi della mia età, più coraggiosi e decisi di me, affrontare la morte per fiaccare il coraggio e la speranza di tornare a casa di altri ragazzi. Una parte della struttura giace nel letto del fiume, a memoria di quei tempi e di quei ragazzi.
Un gruppetto di persone fa gruppo davanti al Municipio. Parlano del loro lavoro. Sono tutti vestiti di nero. E’ un matrimonio o un funerale? Non trovo differenze e proseguo.
Tre indiani d’america, forse Sioux, forse Cherokee, seguono una base musicale e arpeggiano con due flauti di Pan e un’ocarina. Un altro chiede denari ai tanti spettatori. C’è chi è incuriosito dalla musica, chi ride, chi ascolta commosso, chi pensa alla loro fine, al piombo portato dai volgari europei. Chi passa oltre cercando l’abito per la sera.
Una signora leggermente ritardata chiede una sigaretta ad una coppia di giovani. La accende e dopo una lunga boccata incomincia a cantare “Se ti chiamassiiiii”. Nella mano sinistra ha tre fiori gialli. Pensa a suo marito che è morto trent’anni prima.
Un ragazzo è seduto alla fermata dell’autobus. Si tocca in continuazione gli occhiali da sole, tira fuori il telefono cellulare e si specchia nello schermo nero. Pensa che si, è bello ma non troppo, intelligente ma non troppo, sensuale ma non troppo. Non pensa siano cose negative in fondo, ma forse si. Decide di andare dal barbiere. Si alza. La fermata si perde dietro ai suoi passi.

Un autobus mi sorpassa a sinistra, è pieno di persone e di borse, parole e pensieri. In quel momento tutto sembra andare a rallentatore, uno slow motion lungo qualche secondo che rende le mie pedalate lente e pesanti. Il tram si allontana, divento leggero, guardo l’orologio e la lancetta filiforme scorre normale. Segna i secondi. Uno, due, tre. Conto fino a trecento e sono qui. Su questo foglio.

1 comment:

bottaz said...

tutto gira come è sempre girato e come sempre girerà.
E se ci sarà un ingranaggio che si inceppa lo sputerà fuori, espulso dal meccanismo.
allora solo il fiume sotto il ponte varrà uno sforzo