Friday, November 5, 2010

Parcheggio



Anche quella mattina si svegliò presto, le tende non facevano il loro dovere e il sole era troppo luminoso per rimanere dietro le quinte. Aprì la portiera e sentì su di se il sapore ruvido e lievemente arrugginito dell'alba di Settembre, un bel sentire pensava fra se. Non era mai stato così bene, non si sentiva così in forma da quando la nazionale aveva vinto il mondiale oppure da quando era entrato con un chupa chupa color fragola all'esame di maturità. Quattro anni, sono quattro anni brutto stronzo, disse compiaciuto. Sbatté le mani contro i fianchi, poi contro il bicipiti femorali e infine sul petto, si gettò a terra e incominciò l'unica cosa ripetitiva della sua vita. Uno, due, tre… fino ad arrivare a venticinque. Si girò, gli auto bloccanti facevano un male cane ma non badò al dolore. Uno, due, tre.. fino ad arrivare a cento. Anche per quella mattina le ripetizioni erano finite.


Ritornò nella vettura, aprì il cassetto sotto il sedile e tirò fuori una bottiglia d'acqua. Bevve un sorso e lasciò il resto per l'igiene personale, si tolse la maglietta e uscì di nuovo dotato di spazzolino e asciugamano. Si guardò intorno, neanche l'ombra di un essere umano questa mattina, pensò. Era domenica. Sputò il refuso per terra, lontano dalla sua casa, e rientrò. Si vestì velocemente, non c'era un momento da perdere, quella giornata andava vissuta, tutta, piena, andava amata e odiata, usata e salvata. Era una giornata come le altre. Tutte le altre.

Chiuse la porta, mise le chiavi in tasca, il portachiavi di Jack dava ai suoi pantaloni una forma innaturale che a lui stava profondamente sul cazzo. Brutto stronzo di un portachiavi, brutto figlio di puttana. Si incamminò verso sud con uno zaino e la bottiglia d'acqua che già conoscete. Dietro di lui la scritta Conad si allontanava, diventava sempre più piccola e indecisa, i contorni si fondevano con la luce dell'alba e quella del giorno. Ancora non si erano decisi ad alzare il sipario quella mattina. Incrociò qualche macchina, qualche giovane che la sera prima si era bevuto la propria vita e anche quella del suo amico e anche quella dell'amico dell'amico. O forse no. Forse erano solo viaggiatori come lui, viaggiatori atipici, quelli che vedono l'alba per forza e non per scelta, quelli che per scelta non riuscirebbero neanche a lavarsi il culo. Ripensò alle scelte, quelle che non aveva mai fatto e, per forza di cosa, pensò alla sua condizione attuale. Abitava in un parcheggio dentro alla sua utilitaria sudcoreana grigia. Non aveva scelto quella vita, semplicemente aveva scelto di rimanere in eterno nel limbo dell'indecisione. Ho parcheggiato la mia esistenza di fronte ad un magazzino della Conad e non ho la minima intenzione di fare retromarcia e andarmene, neanche di tirare dritto in verità. In fondo la mia vita è bella. Si, bella. Gli amici mi vengono a trovare la sera, ci sediamo di fronte ai fari accesi e, senza guardarci in faccia, parliamo. Niente vergogna, la vergogna se ne va, puff .. vengono e stiamo all'aria aperta d'estate e, quando c'è freddo, ce ne andiamo dentro, come se la macchina fosse una stalla, il bue e l'asinello. I vetri si appannano, le dita incominciano a tracciare lettere e forme, disegni che poi guardo per capire cosa passa per la testa delle persone. Ho scoperto tante cose studiando quei disegni, geroglifici moderni, volatili come i nostri tempi. Ho scoperto un sacco di cose anche su me stesso a dir la verità. Ma non v'interessa a voi, non v'interessa nulla a voi. Neanche a me, neanche a me non interessa nulla. Voglio solo passarla questa cazzo di vita, come si passa da un supermercato o da un parcheggio il venerdì sera, come si passa la domenica pomeriggio in casa guardando le partite della Premier o l'estate in città a lavorare in un negozio di sci, come si passa sopra al senso di colpa o alle promesse, come si passa sopra agli intenti e alla povertà, come si passa sopra all'ipocrisia e all'omelia del prete. Così, voglio passare e basta, voglio lasciare la minima impronta su questo mondo perché non mi sembra giusto rovinarlo, un pò come i disegni sui vetri della macchina.


Continuò a camminare per ore...