Monday, January 24, 2011

Il rituale mattutino del non esistere



Sono ventitré giorni che mi alzo con la stessa intenzione di non esistere per il maggior tempo possibile, almeno fino a quando non incontro la solita immagine di me stesso in qualche luogo adibito al lavoro e alla mostra dei nostri alter ego. Il mattino e i rituali consolidati, l'accertarsi di non esistere sui telegiornali regionali e nazionali, il non decidere nulla di nuovo, nulla di alternativo al solito schema abbondantemente collaudato. Fosse per me non accenderei nemmeno il cellulare. Se qualcuno mi avesse scritto, cosa ne so, alle tre di notte? Se qualcuno mi avesse cercato nel buio più totale per fare luce su qualche mio scompenso emotivo/comportamentale? DISASTRO! Per ora non è accaduto e prego ogni giorno che non accada, almeno fino al nove di Marzo, traguardo significativo per la mia persona e per il desiderio di inesistenza, oblio, caduta nel vuoto. Il cellulare finisco sempre con l'accenderlo perché è nero, piatto, monolitico, preistorico. Lo accendo e mi rassicura, provo un brivido costante e potenzialmente orgasmico, la paura della sorpresa che scompare subordinata al funzionamento (o meno) dei server Vodafone e della volontà altrui. Piatto, tutto è piatto e allora scelgo, prima prova di esistenza della giornata che comunque lascio correre facendo finta di niente, in fin dei conti non posso ritirarmi, non posso raggiungere Dunquerke perché la filosofia (o la vita) è peggio di Hitler, è spietata, mi annienta. Metto i CCCP Fedeli alla Linea, Giovanni Lindo Ferretti che sbraita in un centro sociale Berlinese, un centro sociale dove non pagano l'affitto e le berline Mercedes sono usate come totem ornamentali. PRODUCI CONSUMA CREPA PRODUCI CONSUMA CREPA… Sì. Svegliati non esistere e dormi, rispondo al nuovo Ferretti, mi darà ragione, lo so, vorrei partire per Cerreto Alpi all'istante ma non posso di nuovo fare una scelta del genere, sconvolgente, pura firma sull'esistenza. Lasciami stare, lasciami stare, voglio che sia la mia macchina a guidarmi, lei sa dove devo andare, lei sa cosa devo fare. Il viaggio è breve, breve come un coito interrotto dalla madre che ti chiede se hai fame alle tre del pomeriggio, cazzo non ho fame ho appena mangiato, cazzo mi dico io, un passo e un altro ancora e tocco il pianeta terra. Non sembra male e nessuno mi nota, nessuno mi cerca, nessuno mi tocca. Sono ancora inesistente e vitale, al tempo stesso vitale, respiro, respiro forte e nessuno mi guarda, la musica mi copre, la musica copre il mio respiro, non lo sento, cado nel baratro del non essere più, sto bene, io sto bene mi dico, il baratro è più comodo del mio divano di pelle gialla, il baratro fa rimbombare le mie grida (di gioia) NON ESISTO GIOVANNI! NON ESISTO! Prima che riattacchi con il solito sermone lo abbandono e ascolto il silenzio che c'è qui, il silenzio delle nostre esistenze che sono sottili come i passi sui pavimenti ancora bagnati, vite perse in partenza nel rombo quotidiano del DOVER ESSERE PER FORZA. Io non esisto, NON ESISTO.

Scendo dal piedistallo e guardo la mia immagine disegnata su di una vetrina, sono un fumetto e non esisto, non esisto, NON SONO IN VENDITA e quindi non esisto, sono fuori dal mercato cosmico dei fumetti. La vetrina ha una storia più interessante della mia, ha voglia di raccontarla ma io non di ascoltarla. L'ultima prova prima della fine, voglio sapere ispettore, voglio le prove della mia inesistenza, voglio l'ultima e decisiva prova prima del risveglio. Faccio dieci passi, forse undici, mi giro e li trovo lì, cubitali, sorridenti, bicromi, sfatti dal freddo. I titoli dei giornali di Reggio Emilia si ripetono con una rassicurante banalità ma l'importante, la cosa veramente importante di tutta questa storia, è che il mio nome non c'è. Non ho fatto danni, non ho subito nulla di spiacevole, non ho agito, non ho detto, non ho rilasciato dichiarazioni su me stesso e sulla mia situazione di NON ESISTENTE REPRESSO senza fissa dimora perché non ne ho bisogno. Tutto scorre e ciò mi piace, scorro con il fiume, con le anguille e le trote che un tempo popolavano i letti dei torrenti, abbandono il mio corpo alla gelida forza della natura, risalgo il verso della storia per divincolarmi dal presente che sembra aver bisogno di me.



"Ciao"


Fra quindici ore e trenta minuti tornerò a vivere.

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